venerdì 3 ottobre 2008 alle ore 12.04
Vi propongo in anteprima la mia replica all'articolo a firma di Luigi La Spina (apparso su "La Stampa" lo scorso 26 settembre e qui di seguito riportato) e non ancora pubblicata dal quotidiano, a causa dello sciopero dei giornalisti di questi giorni. Inviatemi i vostri commenti !!DESTRA SENZA FASCINODi Luigi La SpinaA tre anni di distanza dall'appuntamento elettorale, Enzo Ghigo, lancia la sua candidatura per la poltrona di Palazzo di Città. Anche se l'onda di favore popolare, in Italia, per il centrodestra si prolungasse fino al 2011, l'impresa appare difficile. La prevalenza dello schieramento opposto è così lunga da aver indotto il centrodestra torinese a una sindrome vittimistica, in parte anche comprensibile ma di sicuro controproducente. A questo proposito, i leader dell'attuale opposizione cittadina dovrebbero rispondere a una domanda alla quale non servono repliche autogiustificative: perchè, ormai da molto tempo, la classe dirigente non trova nel centrodestra stimoli di discussione, di confronto, che l'avvicinino a quello schieramento? Perchè non solo il mondo della cultura umanistica, tradizionalmente lontano dal centrodestra, ma anche quello della scienza e della tecnologia appare più orientato al centrosinistra? Perchè gli ambienti delleprofessioni, dagli avvocati ai commercialisti, dagli ingegneri ai medici guardano, in prevalenza, dall'altra parte? Perchè persino l'imprenditoria torinese non sembra sostenere con nettezza, nalla città, i partiti del centrodestra? Può essere vero, naturalmente, che il fascino del potere seduca di più di quello che emana da chi sta all'opposizione. Ma la spiegazione vale soprattutto come alibi consolatorio. Essere non direttamente respobsabili delle scelte che prevalgono in città consente, infatti, una libertà di opinione, una spregiudicatezza intellettuale e anche ampi spazi di manovra politica e amministrativa molto favorevoli per attirare segmenti ampi di cittadinanza insoddisfatti o dubbiosi dell'operato di chi comanda.Senza scadere nella grigia, ripetitiva e sterile polemica quotidiana contro il centrosinistra o nel demagogico sfruttamento del mugugno subalpino contro qualsiasi novità che si affacci sul panorama torinese, il terreno di unconfronto stimolante,di una sfida culturale e politica è vastissimo. Stuoisce, perciò, che, guardando al recente passato, questo campo sia rimasto così desolatamente vuoto.L'isolamento rispetto agli interessi della società civile, l'autoreferenzialità, il mancato ricambio di forze giovani, fuori dal solito circuito del professionismo politico di lunga data, non sono naturalmente prerogative esclusive del centro-destra . Ma, per chi sta all'opposizione, sono difetti più gravi, perchè non si giustificano neanche con le convenienze di una costante gestione del potere.
LA RISPOSTA DI ENZO GHIGO:
Si fa in fretta a dire vittimismo, ma dopo quindici anni d’opposizione qualche riserva sui meccanismi dell’alternanza mi sembra pure legittima. Confrontarsi con l’analisi di Luigi La Spina (“Destra senza fascino” su La Stampa del 26 settembre), questa volta è ancora più difficile. Per onestà si deve ammettere che i rilievi mossi al centrodestra saranno anche urticanti, ma fanno riflettere.Ripercorrendo l’avventura politica di Forza Italia, occorre riconoscere che il radicamento che essa ha avuto, fin dall’inizio, nel capoluogo piemontese è stato insufficiente, credo per un concorso di cause. Intanto, la presenza delle “giunte rosse” aveva già permesso alla sinistra di consolidare i suoi oliati meccanismi di formazione del consenso, di creare un blocco omogeneo e tendenzialmente egemone, secondo la lezione gramsciana. Sul finire della prima repubblica, questa struttura riusciva a stringere un’alleanza con quella che un tempo si sarebbe definita la borghesia illuminata, e oggi magari i salotti. Perché è avvenuto? Indubbiamente c’è stata un reazione di rigetto verso un movimento allora nuovo, Forza Italia, percepito come minaccioso per gli equilibri che faticosamente questi ambienti d’elite avevano creato. Un governo di sinistra può fare cose che un governo di destra non può permettersi: era questa la linea, non priva di una sua logica “pratica”, dettata dal personaggio più influente di Torino. Una linea su cui la componente liberal-democratica si è adagiata, puntando (e in parte riuscendovi, come dimostra la candidatura Castellani) a pilotare verso la modernità il blocco operaista in via di sgretolamento.Forse c’è stata anche una motivazione opportunista, sicuramente c’è stata, con le solite eccezioni, la volontà di mettere tra parentesi le proprie convinzioni ideali per un’alleanza utilitarista. Ora l’incantesimo di “fare con la sinistra cose di destra” mi sembra rotto. Anche perché questi schemi ideologici appaiono superati, e non è di destra, ma semplicemente di buon senso, fare la Tav, gli inceneritori, i grattacieli. E discorsi analoghi si potrebbero fare per le farmacie comunali, da collocare quanto prima sul libero mercato, o sui giochi di potere che stanno dietro alle aggregazioni di Iride: c’è qualcuno che si chieda quanto eventualmente risparmieranno i torinesi sulle bollette di luce e gas? Torino, per uscire dal torpore post-Olimpico, ha bisogno di uno scatto, ma farlo insieme alla sinistra antagonista si sta rivelando impossibile: l’ha capito Veltroni, ne prende atto anche Chiamparino - mentre Bresso è ancora in trincea - e forse pure la società civile “liberale” se ne è accorta. A queste persone voglio dire: se è vero che una sconfitta insegna più di cento vittorie, allora potete star sicuri che certi errori non li commetteremo più. E’ anche questo il senso della mia disponibilità a fare il sindaco di Torino, non a ridosso del voto, ma quando mancano ancora due anni e mezzo: il tempo necessario per un programma serio di rilancio, che unisca le anime della città capaci di stare al passo con il cambiamento, se non di dettarne il ritmo.